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La sicurezza e il benessere sia dell’equipaggio che della nave sono le responsabilità primarie di ogni comandate, senza eccezioni. C’è da scommettere che ogni skipper lo confermerà. Eppure, è quasi impossibile trovare un singolo rapporto di indagine in caso di sinistro in mare che non attribuisca la responsabilità (o corresponsabilità) di un incidente ad un certo grado di errore umano e interruzione della comunicazione, a volte con risultati catastrofici.

Allora, cosa stiamo facendo di sbagliato nel mondo della vela?

Per rispondere a questa domanda vale la pena guardare all’industria aeronautica, che da quasi 40 anni riconosce e affronta l’impatto dei “fattori umani”. Con un singolo aereo passeggeri che trasporta fino a 800 persone, eliminare gli errori in volo è assolutamente fondamentale.

Nel 1981 United Airlines ha introdotto l’addestramento CRM (Crew Resource Management), per cercare di migliorare la sicurezza concentrandosi sulla comunicazione interpersonale, la leadership e il processo decisionale nella cabina di pilotaggio di un aereo di linea. Il modello CRM si è dimostrato così efficace che da allora si è radicato nella cultura della sicurezza aerea.

Nell’industria marittima, e in particolare nella nautica da diporto, c’è ancora l’immagine dello skipper con autorità, che prende le decisioni e fa le cose difficili da solo. Questo è abbastanza diverso dall’approccio delle compagnie aeree, che considerano l’operazione di volo come uno sforzo integrale dell’equipaggio con molta delega.

Personalmente, sono convinto che un equipaggio coinvolto contribuisca molto al buon esito di qualsiasi viaggio, in barca a vela o in volo. Questo è un passo cruciale da compiere ed è una cosa con cui si può fare facilmente esperienza; iniziando con i briefing dell’equipaggio, chiedendo feedback e delegando compiti per mantenere l’equipaggio coinvolto mentre si controlla la situazione e si monitorano i progressi.

Il punto chiave è mettersi in condizioni di stare alla guida di un team efficace.

Ci vuole coraggio, ci vuole un cambio di visione, ed occorre affrontare la cosa da una posizione di vulnerabilità, che va di pari passo con la volontà di apprendere una nuova abilità o di entrare a far parte di una squadra sconosciuta. È compito dello skipper riconoscere l’impegno assunto da ogni membro dell’equipaggio e aiutare ciascuno a raggiungere il proprio potenziale.

Lo skipper ha il compito di creare team efficaci da zero. Ogni volta è una esperienza differente, ma qualunque sia il compito del singolo membro, l’obiettivo è sempre lo stesso: formare un gruppo coeso e cercare di ottenere la migliore esperienza possibile ed il migliore risultato a bordo, per tutti.

La creazione della giusta atmosfera inizia con le prime impressioni. Dimenticare i nomi è un errore fatale. Se vogliamo il rispetto dell’equipaggio, il minimo che possiamo fare è prenderci un momento per ricordare il nome di ognuno.

Se abbiamo difficoltà in questo – ed io confesso che ce l’ho – allora dobbiamo trovare un metodo che ci aiuti. Un sistema che mi piace è chiedere a ogni membro dell’equipaggio di raccontarmi qualcosa di unico su se stesso quando ci incontriamo per la prima volta. Non solo aiuta con il processo di ricordare un nome per associazione, ma aiuta anche a rompere il ghiaccio, a creare una connessione.

Dobbiamo anche imparare ad ascoltare veramente. Possiamo avere un programma di veleggiata perfetto e chiarissimo prima di partire, ma ascoltare attentamente nel briefing introduttivo aiuta ad elaborare ciò che ogni membro dell’equipaggio dice su se stesso, e sul suo approccio alla navigazione. Un buon sistema è rispondere ad ognuno parafrasando ciò che ha detto per dimostrare di avere davvero ascoltato. Assicuriamoci, inoltre, di dare a tutti lo stesso tempo.

La creazione di una serie di valori di squadra darà il tono per la navigazione. Questi valori dovrebbero essere elaborati come condivisi ed approvati da tutti. Proviamo a scriverli in una sorta di “contratto di equipaggio”; questo fornirà un riferimento e un focus quando le cose andranno male (cosa che accadrà rima o dopo) e creerà le basi per la dinamica a bordo. Registriamo questo appunto nel libro di bordo in modo che ci si possa fare riferimento e farla firmare a tutti.

Le regole di base stabilite dal team forniscono un prezioso punto di riferimento se si affronta successivamente un qualche conflitto nell’equipaggio e incoraggiano un approccio democratico verso la sicurezza e il benessere generali.

Teniamo a mente un quadro predeterminato quando impostiamo i valori del team; adottiamo un approccio basato sulla cultura senza colpa, per promuovere un ambiente che incoraggi i team member più restii a parlare, aiutando ad evitare incidenti, infortuni o peggio.

Inizialmente, il desiderio di “adattarsi” tirerà fuori naturalmente il meglio da tutti. Le sfide iniziano quando il gruppo si sente a proprio agio e meno guardingo. Aggiungiamo a questo le ulteriori pressioni che derivano da una vita in mare e le crepe possono iniziare a formarsi. Queste crepe devono essere affrontate rapidamente prima che minaccino l’integrità della dinamica che abbiamo costruito insieme; creare una cultura a bordo che incoraggi il feedback senza rimproveri è essenziale per risolvere i problemi mentre il team continua ad evolversi.

Abbiamo tutti uno stile di leadership personale, ma un buon skipper adatterà il proprio stile in base alla situazione. In una crisi abbiamo bisogno di un approccio autoritario con istruzioni e guida specifiche. Non c’è tempo per la democrazia quando c’è un incendio a bordo; al contrario, in uno scenario quotidiano normale, uno stile più partecipativo può funzionare meglio, incoraggiando l’equipaggio a fare domande ed a pensare da soli.

Quando un membro dell’equipaggio dimostra la piena capacità di auto-gestione non è produttivo “comandare”; invece la semplice direzione genererà un rispetto reciproco. La responsabilità può essere un potente strumento motivazionale nelle giuste circostanze.

Perché tutto questo è importante? abbiamo bisogno che il nostro equipaggio si senta responsabilizzato in modo che sia sicuro di segnalare problemi o errori di sicurezza, anche quando non si sono verificati incidenti, senza timore di ripercussioni. Questo può accadere solo in una cultura senza colpa, o in quella che nel settore del trasporto aereo viene definita (tra gli altri) una cultura giusta.

Una cultura giusta è dove le persone sono incoraggiate e si sentono in grado di segnalare incidenti perché sanno che non saranno incolpate o rimproverate per “errori onesti”, ed in questo il settore del trasporto aereo ha insegnato – e continua ad insegnare – moltissimo. 

La chiave è investire tempo ed energie nella formazione sul fattore umano; questo insegna a tutti noi che, indipendentemente dalla posizione nella squadra, il ruolo e l’opinione di tutti sono egualmente vitali e importanti; ciò rende molto più facile per tutti focalizzare su comportamenti e decisioni.

In aviazione esiste il modello “formaggio svizzero” di James Reason, ovvero se rimane un piccolo errore, poi un altro e un altro, questo può portare ad un grave incidente o ad una importante falla nella sicurezza.

Per ovviare a queste disastrose escalation occorre essere addestrati a prenderci la responsabilità di errori più piccoli senza problemi; la segnalazione di qualsiasi problema di sicurezza è fondamentale, e rappresenta un momento di apprendimento collettivo che di solito si assimila molto rapidamente; questa è una pratica comune nel settore dell’aviazione.

Personalmente ritengo che il mondo della vela può trarre grande vantaggio dall’adozione di questa mentalità: c’è una grande differenza nella cultura della sicurezza tra l’industria marittima e quella delle compagnie aeree.

Dopo un incidente marittimo si parla di colpe e di possibilità di azione penale. Nel volo in linea aerea si può essere perseguiti solo per cattiva condotta intenzionale o negligenza grave, non per aver commesso un errore, per quanto disastroso sia il risultato. Quando tutti gli errori vengono discussi apertamente, si riducono le possibilità che lo stesso inconveniente si ripresenti.

L’obiettivo deve essere sempre quello di scoprire cosa è andato storto, perché è successo e agire per evitare che accada di nuovo. Se una persona commette un errore, la stessa cosa potrebbe quasi certamente accadere a chiunque altro.

Le persone dovrebbero sentirsi sicure nel segnalare problemi che possono implicare se stesse, al fine di migliorare il sistema.

Ad esempio, supponiamo che un membro di equipaggio si addormenti durante il suo turno di guardia. Se non accade nulla, questo (molto probabilmente) non verrà segnalato; mentre se si verifica un incidente mentre la guardia fa un sonnellino, ci saranno gravi conseguenze. Ma la situazione è la stessa: la persona di guardia non era all’erta, dunque se non segnalato, il sistema non può apprendere e situazioni simili non vengono evitate.

Un approccio basato sulla ricerca della colpa resta quindi il più inutile, il meno didattico ed il più potenzialmente pericoloso possibile quando si vogliono costruire protocolli che preservino dati incidenti in mare.

Un vecchio proverbio giapponese recita: “non mi serve trovare il colpevole, mi serve trovare una soluzione”. O forse non era giapponese, e nemmeno tanto vecchio.

Buon vento, ci vediamo in mare.

Renzo Crovo