Cambio di rotta: la vela come metafora di vita
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Uno degli errori più comuni nel pensare ad una navigazione in barca (a vela nel nostro caso) è quello di catalogarla come una occasione in cui si starà in uno spazio ristretto gli uni a contatto con gli altri. Da qui tutti i timori legati alla convivenza e tutte le leggende metropolitane (anzi marine) sulle furiose litigate, sulle amicizie che si incrinano, sulle coppie che scoppiano e via discorrendo.
Proviamo invece a cambiare visione: finché si pensa alla barca a vela come uno spazio ristretto su cui galleggiare, non si potrà mai capire quanto invece la navigazione sia l’occasione di entrare in contatto con spazi immensamente vasti in cui imparare a vivere.
La barca, dunque, possiamo dire essere come la vita, una palestra in cui edificare il proprio senso di partecipazione ed esperienza, in un viaggio che dura lo spazio di un’esistenza.
Andare per mare è quindi la grande metafora del navigare dentro se stessi, del creare quelle condizioni che stimolano cooperazione, meditazione, creatività, spirito di corpo e integrazione fra funzioni intuitive e funzioni logiche e decisionali.

L’incontro con il mare diventa incontro con le proprie profondità. All’interno di un’imbarcazione a vela le interazioni sociali sono necessariamente collaborative e partecipative, in quanto condizioni fondamentali ed indispensabili per il buon governo della barca. Ogni partecipante sa di svolgere un ruolo di primo piano nella gestione della barca e vive una piena responsabilizzazione. Si creano così le condizioni per poter sperimentare le proprie attitudini comportamentali e relazionali, essenziali per uno sviluppo positivo della propria personalità.
In barca si impara a convivere e a condividere gli spazi limitati, gli oggetti del quotidiano, le emozioni e le sensazioni che scaturiscono dall’esperienza della navigazione e dal contatto con la natura. In barca ci si mette alla prova.
Da questo concetto – nel corso degli ultimi decenni – hanno preso forma interessanti esperienze educative. In Svezia, trent’anni or sono fu realizzato un progetto sperimentale di recupero di ragazzi “difficili” attraverso l’apprendimento dell’arte della vela. Questa esperienza si è poi diffusa e replicata rapidamente in Germania, in Inghilterra ed anche in Italia; lo scopo è quello di offrire un’opportunità ai ragazzi che necessitano di una rottura con il loro ambiente abituale per ritrovare un equilibrio personale e sociale. Un’esperienza forte che permetta loro di conquistare autonomia ed autostima, attraverso la partecipazione ad un’esperienza fuori dalla norma, impegnativa e valorizzante.
Navigare è un’esperienza particolarmente costruttiva: permette di sviluppare relazioni interpersonali, spirito di solidarietà, di lealtà, di fiducia nei propri mezzi e nel prossimo. Rafforza il senso di accettazione degli altri oltre che di se stessi, valorizza l’impegno del singolo e del gruppo, educa al rispetto e permette il superamento di se stessi affrontando le difficoltà.

La barca è un posto che ti insegna la tolleranza se non altro per la ristrettezza dei suoi ambienti: se un nostro compagno di navigazione non ti è simpatico non puoi evitarlo perché tre minuti dopo ce lo ritroviamo davanti; dobbiamo per forza imparare ad averci a che fare.
A bordo prende vita un formidabile laboratorio sociale ed un acceleratore di esperienze, in quanto ambiente ristretto, a volte disagevole, dove si è costretti a mettersi in gioco, a cooperare in gruppo adoperandosi nella ricerca di soluzioni a problemi ed imprevisti.
Del resto, a proposito di progetti educativi, i bambini sono sicuramente i più interessanti con i quali andare per mare. Sono sinceri, onesti e permettono di sperimentare maggiormente le modalità di insegnamento.
L’emotività è alla base di questa attività; andare in barca a vela coinvolge chiunque: ci si dimentica il cellulare e il tempo passa senza che ce se ne accorga. Le persone riscoprono il valore del silenzio, il rumore dell’acqua, sentono l’onda che accarezza lo scafo e riescono a riconnettersi con la loro parte più profonda, spesso sepolta dalla frenesia della vita di tutti i giorni.
C’è poi un aspetto metaforico che mi interessa particolarmente: credo si possa definire la “virata esistenziale”; cambiare direzione nella vita.
Possono essere tanti i motivi, può essere una nostra decisione: possono essere cambiate le condizioni a contorno, costringendoci a prendere decisioni diverse. Possiamo essere spinti a cambiare anche dal nostro competere per vincere. Potremmo essere anche costretti al cambiamento, per resistere o sopravvivere ad una forza contraria, ad un pericolo imminente, così come fa il marinaio per trovare il modo migliore e più veloce per raggiungere un ridosso sicuro, al riparo da una tempesta che sta per arrivare, e della quale il marinaio ha visto o intuito tutti i segnali premonitori.

Una volta deciso di cambiare, dobbiamo fare una ricognizione della nostra vita, perché prima di metterci in discussione dobbiamo essere certi di avere tutto a posto: in barca si direbbe siamo in sicurezza.
Poi ci dobbiamo chiedere se questo cambiamento possiamo farlo da navigatori solitari o se è preferibile avere con noi un equipaggio.
Quello che non può essere in discussione è il fatto che il timoniere del nostro cambiamento però siamo noi e solo noi. Non può essere nessuno a cambiare per noi, e quando abbiamo preparato con cura tutto ed assicurata la collaborazione di risorse che sono necessarie per il nostro cambiamento, iniziamo a prendere velocità, a non temere di fare sbandare la barca della nostra vita, a cercare il vento in prua; quella condizione che ci permetterà di effettuare il cambiamento di direzione, la virata che cerchiamo.
Dobbiamo dominare la paura di andare in angolo morto o di finire in cappa, cioè restare piantati ed immobilizzati dopo aver lasciato il nostro vecchio essere ma non aver raggiunto completamente il nuovo.
Siamo dunque pronti per la per la virata esistenziale? Però non basta decidere di cambiare o dichiarare di farlo. Dobbiamo ruotare il timone della vita, e contemporaneamente filare la scotta sottovento, quella che sostiene la vela, e accettare che la vela (e la nostra vita) cominci a sventolare.
Dobbiamo anche attraversare il temuto angolo morto, in cui la nuova vita, dopo il cambiamento, non è ancora attiva, mentre la vecchia ha perso il vento che la spingeva e che non ci sta sostenendo più. Questo è il momento in cui il cambiamento rischia di fallire. Smettiamo di girare il timone, cerchiamo di riprendere un minimo di abbrivio sulle nuove mure.
Se non avevamo accumulato sufficiente energia, la velocità della bolina, o se non avevamo sufficiente vento apparente, la vela sbatte e la pala del timone non funzionerà. Il timone, che è lo strumento per cambiare vita, funziona solo se l’acqua della scorre veloce sotto la barca. Se la nostra vita è ferma, il cambiamento non avviene.
E per andare più veloci incontro al vento e alla vita dobbiamo alleggerire la nostra barca dalla zavorra non necessaria e analogamente dobbiamo alleggerire la nostra vita da inutili pesi esistenziali.
Per concludere questa metafora di vela e di vita, con successivi cambiamenti-virate possiamo risalire a zig-zag il vento contrario andando esattamente e precisamente incontro al vento. Senza mai prenderlo in angolo morto, mostrandogli invece ad ogni bordo il lato di sinistra e il lato di dritta in continua alternanza, arrivando infine alla nostra meta.

C’è poi ancora un ultimo aspetto interessante: la barca a vela è la metafora perfetta dell’azienda. Immaginiamo un gruppo di persone che lavora con strumenti tecnici affinché la barca possa navigare verso il suo obiettivo. La navigazione può avvenire velocemente o lentamente, l’equipaggio può lavorare in armonia o con qualche lite, le scelte che portano al successo (o a un insuccesso) sono moltissime. Vi ricorda qualcosa? I classici obiettivi aziendali, il fatturato, non vi sembrano sempre più simili a quella lontana boa gialla, che dobbiamo raggiungere?!
Qui abbiamo tutto il catalogo: metafora perfetta della leadership, problem solving, strategia e pure metafora dell’iceberg contro cui possiamo sempre andare a schiantarci affondando tragicamente.
Questa è la barca amici. Questa è la vita. Non è un caso che tante frasi che usiamo quotidianamente in senso metaforico siano espressioni nautiche: mollare gli ormeggi, gettare l’ancora, scrutare l’orizzonte, andare col vento in poppa… sono solo alcuni modi di dire che stanno a indicare come il viaggio per mare sia metafora della vita.
Un viaggio verso un obiettivo con diverse motivazioni, con le stesse ambizioni. Condividendo spazi, luoghi, modi di vivere e di godere di uno stesso bisogno.
Nel valore del tempo che diamo al nostro sentirci parte di tutto questo, senza esserne invasi o invadendo quello degli altri, sfuggendo alla frenesia di quel qualcosa che non ci permette di capire. Che ci fa sentire ospiti di una vita che ci dovrebbe appartenere, sapendo rispettarla e apprezzarla, responsabilmente e con coraggio, lontani da quei ritmi incalzanti dai quali spesso scappiamo ma che, in fin dei conti, un po’ ci rappresentano.
Buon vento, ci vediamo in mare.
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