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Prima di scrivere questo articolo ho dato un’occhiata in rete. Lo faccio sempre, giusto per capire cosa è già stato scritto sull’argomento ed evitare di tritare e ritirare argomenti già trattati in modo completo.

Devo confessare che dopo pochi minuti di lettura ho mestamente richiuso il mio Mac e sono andato a prepararmi una tazza di té (no, in verità ho aperto una birra, ma in queste pagine non voglio spingere al consumo di alcool). Il panorama è abbastanza desolante: tra racconti di superstizioni passate e storielle “divertenti” sul perché in passato le donne non erano gradite a bordo sembra di capire che il mondo della nautica si sia fermato ad un tempo indefinito tra l’età del vapore e gli anni ’50.

I testi più impegnati che ho letto sono stati quelli dove si scrivono regole di bon ton e di preparazione dei bagagli per le signore impegnate in una crociera estiva, senza neppure prendere in considerazione l’apporto femminile nel mondo della nautica professionale o delle regate.

Personalmente ho sempre navigato con donne, attualmente esco in regata con un equipaggio quasi completamente femminile, la mia istruttrice per la patente nautica è stata una donna; credo quindi che il mio approccio a questo argomento sarà una specie di Alice in wonderland perché davvero non capisco; davvero penso – come scrivo nel sottotitolo – che questo articolo dovrebbe essere inutile. Dovreste saltarlo a piè pari.

Nei film degli anni ’50, quando un uomo e una donna andavano da qualche parte insieme, era invariabilmente l’uomo che guidava l’auto. Guidare era un ruolo maschile, come tagliare l’arrosto della domenica o decidere come votare. Ad una donna non era permesso guidare l’auto del marito, come se guidarla in sicurezza fosse in qualche modo al di là delle sue capacità umane. Oggi questo approccio sembra assurdo, per lo meno nei paesi occidentali, eppure alcuni aspetti della navigazione ricordano ancora un mondo Technicolor degli anni ’50.

Facciamo una prova: in una qualsiasi marina osserviamo una barca in avvicinamento; nella stragrande maggioranza dei casi l’uomo sta al timone e la donna sta a prua a fare il lavoro delle trappe, cime e parabordi. In un mondo logico avrebbe senso per la donna essere al timone e per l’uomo “smazzarsi” il lavoro pesante di sollevare, lanciare, saltare e tirare.

Allora perché le donne non sono al timone? Perché gli uomini non sono preoccupati del fatto che le loro partner – sempre escluse dalle manovre – potrebbero non avere le capacità necessarie per tornare e raccoglierli se cadono in mare? O per navigare e tornare a riva in sicurezza se necessario?

Questo è il primo paradosso inspiegabile: pur di non cedere lo “scettro del comando” la maggioranza degli uomini è disposta a rischiare in prima persona mantenendo le loro compagne a corto di preparazione ed addestramento.

Del resto le donne scarseggiano anche nella vela professionale; non è frequentissimo incontrare donne comandanti di barche da charter e si contano davvero sulla punta delle dita le donne skipper, timoniere o tattiche su una barca da regata con equipaggio professionista. Mai saputo – ad esempio – di una donna imbarcata in un qualsiasi ruolo su una barca di Coppa America.

Il mondo della vela annovera moltissime grandi atlete e navigatrici le cui capacità si sono evidenziate senza ombra di dubbio, ma in realtà le donne sono molto più scarse nel mondo professionale di quanto non lo siano nelle regate amatoriali e nelle crociere; spesso poi i ruoli a bordo sono divisi in compiti adatti ai maschi distinti da quelli adatti alle femmine.

Se ci pensiamo – fortunatamente – oggi questo è in netto contrasto con la vita sulla terra, ma contemporaneamente è un argomento raramente discusso. Parlare di queste cose può essere visto come un atteggiamento provocatorio, persino sessista, e quando si solleva il dibattito sui forum o su Facebook si rischia il classico flame.

Credo che le cose debbano cambiare ed anche un ambiente tradizionalista come la nautica dovrebbe darsi una scrollata e parlare apertamente e serenamente di donne al comando. Come abbiamo già accennato è anche un argomento pratico; anche e soprattutto le coppie interessate alla semplice crociera costiera dovrebbero meditare e ragionare sulla necessità della piena capacità di ciascun componente di navigare in autonomia e sicurezza: quando si naviga in due, si è a tutti gli effetti due navigatori solitari che necessitano di abilità duplicate.

Argomento chiarito quindi? Niente affatto! Occorre ragionare anche sul fatto che il motivo per cui così tante donne non si fanno carico di manovrare, navigare e altri compiti chiave è perché hanno paura di farlo, non hanno la fiducia. Questa mancanza di fiducia può rendere le donne marinai riluttanti, frustrando il sogno originale di diventare navigatrici autonome. In definitiva pare che questa mancanza di fiducia e di autonomia possano essere ricercate nel modo differente in cui uomini e donne apprendono. L’uomo apprende   intuitivamente, mentre la donna preferisce essere sicura di poter fare qualcosa prima di affrontarla. In poche parole, si tratta di acquisire la fiducia, che richiede pratica, un buon sistema di supporto, conoscenza ed esperienza di base. Si tratta in una parola di coinvolgimento.

È difficile mettere un dito sul perché della riluttanza delle donne a intraprendere un compito quando in molte situazioni gli uomini sembrano prendere il controllo rapidamente e senza sforzo, ma qualunque cosa sia, per assumersi la responsabilità, tutti i marinai hanno bisogno di tempo, obiettivi di apprendimento, istruzione, e pratica. Le coppie poi, se intendono navigare insieme dovrebbero imparare separatamente ed una volta a bordo insieme lasciare che la persona meno esperta prenda il timone e sviluppi esperienza, preparati al fatto che si commetteranno errori lungo la strada. Nel momento in cui si vedranno donne schiantarsi contro i pontili (esattamente come fanno gli uomini) il mondo della nautica sarà un posto migliore.

In definitiva la parola d’ordine è: condivisione. Condivisione del timone, delle manovre, delle manutenzioni, della cambusa. Insomma di ogni aspetto della navigazione; senza compiti azzurri e compiti rosa. E condivisione degli errori.

Si commetteranno errori – gentili signore – fallirete l’ormeggio e dovrete riprovare; questa è la cosa peggiore che potrà succedere (prestiamo solo attenzione a non prendere cime nell’elica). Fatevi strada, pretendete spazio.

Una coppia che naviga da sola è giocoforza co-skipper; sottolineiamo che è importante che entrambe le parti condividano responsabilità e conoscenze in modo che ciascuna possa svolgere il lavoro dell’altra in modo assolutamente intercambiabile.

Tornando alla rappresentazione iniziale: quanti skipper maschi lasciano che la moglie porti la barca all’ormeggio del porto? Di solito pochissimi, eppure è importante; così come è importante il diverso approccio all’apprendimento tra uomo e donna. A rischio di apparire banali, l’abitudine delle donne di leggere approfonditamente i manuali di istruzione e manutenzione si rivela assolutamente vitale; sovrapporre le conoscenze consente inoltre alle coppie di decidere su aree specialistiche.

Concludendo resta la domanda: se le donne sanno condurre una barca bene quanto gli uomini, e dovrebbero sapere come farlo per prendere il comando quando è necessario, perché non lo fanno più mogli e partner?

È come guidare l’auto o andare a votare: basta che venga data l’opportunità.

Buon vento, signore, ci vediamo in mare.

Renzo Crovo