Tutti sulla stessa barca: perché velisti e motoristi si detestano (e perché non dovrebbero)
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Perché velisti e motoristi si detestano (e perché non dovrebbero)
<<Marinai si nasce, non si diventa. Per «marinaio» non intendo uno di quegli individui scialbi e insignificanti che si incontrano di questi tempi sul castello di prua delle navi, in mare aperto, ma intendo un uomo che prende possesso di quell’ammasso di legno, acciaio, cime e tela e lo trasporta a suo piacimento sulle superfici marine. E, checché ne dicano i capitani e sottufficiali delle grandi imbarcazioni, il diportista è un marinaio vero e proprio.>>
Jack London
“The joy of small boat sailing”
Yachting Monthly 1912
Indubbiamente il vecchio Jack ci aveva visto giusto, eppure ancora oggi la cosa più gentile che un velista dice ad un motorista è che la sua barca è un ferro da stiro galleggiante; allo stesso tempo la definizione più benevola che un motorista dà di una velista è “invasato”.
Tutti noi che andiamo per mare, sia gli appassionati della tela a riva che quelli dei cavalli ruggenti dovremmo interrogarci sul perché di questo bizzarro livore che, dagli albori della navigazione da diporto, ci attanaglia e – diciamolo – un po’ ci annoia. La storia è vecchia dunque, proviamo ad immaginare cosa possano aver detto i vecchi marinai quando comparvero i primi motori per il diporto? Scommetterei che si distinsero due correnti di pensiero: una a favore del progresso e un’altra per la sicurezza delle tradizioni.
Oggi la faida si è spostata su altri argomenti: chi va a vela generalmente si auto-promuove sportivo, amante e rispettoso della natura, dotato di senso etico e di tendenza green che mai accetterebbe di mettere in discussione. Pazienza se poi naviga su un oggetto pesante qualche tonnellata, costruito generalmente in materiale non riciclabile e che utilizza sì e no 30-40 giorni all’anno, mettendo anche in conto di “smotorare” durante la crociera di agosto.

In realtà secondo me bisognerebbe partire dalla base: chi va per mare ama il mare, chi più chi meno, indipendentemente dalla propulsione che ha scelto per navigare.
Che poi, a pensarci bene questa netta differenza tra velisti e motoristi non ha molto senso: sono talmente tante le sotto-categorie di ognuna delle due famiglie che è facile perdersi e soprattutto, se le analizziamo bene, si incrociano e si sovrappongono disinvoltamente in un intreccio difficile da schematizzare; basti pensare – per fare un esempio su tutti – agli ibridi tra vela e motore, i motorsailer.
Gli stereotipi poi impazzano: il velista viene dipinto come uno sportivo che va in barca per pura passione, è preciso, studia, si allena, si prende cura dell’attrezzatura e non ha paura di faticare. Mette in conto di passare le sue giornate a cercare un refolo di vento, sa perfettamente che il suo mezzo di trasporto è il più irrazionale possibile per spostarsi da A a B e non se ne dispiace affatto, anzi, è proprio da questa irrazionalità che trae il maggiore piacere; perché, come si legge spesso nella didascalia di una foto di vela “il piacere del viaggio non è la meta ma il viaggio stesso”. Il velista ama il silenzio, il vento e anche le condizioni meteo più impegnative (io stesso adoro regatare con vento e pioggia). Il velista, infine, dichiara di amare l’ambiente ed è arci-sicuro che la sua presenza sia sempre e comunque rispettosa del mare per via del suo navigare – si dice – senza inquinare.

Il velista guarda in cagnesco il motorista perché lo ritiene rozzo e maleducato. Non sopporta il fatto che egli salti a bordo, accenda il motore e sgasi via – lui crede – senza curarsi del meteo, della rotta, delle regole, di nulla.
Il motorista invece viene immaginato come una persona che ama godersi la vita, che vuole rilassarsi senza troppe complicazioni, che ama la comodità di un porto e raggiungere velocemente la meta scelta. Perché mai complicarsi la vita quando si possono armare un paio di motori dotati di (sovra)abbondanti cavalli? Per il motorista la barca e la navigazione sono un modo per trascorrere una vacanza, non una attività sportiva.

Il motorista diffida del velista perché lo ritiene fanatico, un po’ supponente e pronto a salire in cattedra quando si parla di rispetto per il mare; il motorista ridacchia all’idea che ci si possa svegliare all’alba per percorrere tutto sommato poche miglia, e prende in giro i suoi antagonisti per via del vezzo di riunirsi al pub del porto per raccontare di onde e tempeste mai realmente affrontate o di regate perse per un soffio “per colpa di…”.
Ma alla fine queste distinzioni hanno senso? Queste leggende, questi stereotipi hanno un fondamento di realtà?
La mia tesi è: no, non hanno senso.
Il mare si può amare a prescindere dal mezzo di locomozione che si usa per navigare; e poi come dovrei definire il sottoscritto che ama alla follia la vela ma non disdegna un giro su un gozzo a motore? Le definizioni di motoristi e velisti sono troppo generiche e non hanno più alcun senso; dovremmo distinguere chi va sempre a motore su una barca a vela, chi fa regate, chi va in mare tutto l’anno e chi solo una settimana ad agosto; chi naviga circondato da tutti i comfort e chi preferisce una barca spartana; chi possiede una buona cultura marinaresca e chi invece resta ignorante, chi provvede da se alla manutenzione (ed a volte anche al restauro) della barca e chi si affida al cantiere anche per cambiare l’olio del motore. Difficile – ed inutile – dividere in categorie e ancora più difficile (ed ancora più inutile) tirare la riga tra buoni e cattivi tra amanti del mare e da usurpatori della natura.
I velisti potrebbero sembrare i più tradizionalisti ma ancora una volta osservando quel che ci circonda in mare la realtà provvede a sparigliare le carte: la barca a vela potrà essere classica o anche d’epoca, per circondarsi di nobili essenze di legno e navigare con classe ed antica lentezza; ci saranno tanti altri invece per cui la barca, dovrà essere leggera, performante ed altamente tecnologica. Alla stessa maniera l’imbarcazione a motore potrà essere un motoscafo o una navetta, un fisherman o un open, un cabin,un fly bridge, walkaround o un explorer e tanto altro ancora.
Ci saranno poi coloro che hanno deciso che la barca sarà il loro nido, la loro casa od anche il mezzo con cui prenderanno una lunga pausa da se stessi e gireranno per i sette mari.
Io credo, in conclusione che il punto vero sia uno solo, e sia proprio sempre quello. Il mare è dentro di noi, fa parte del nostro inconscio, del nostro io più profondo, e chi è capace di amarlo davvero farà sempre parte di una e grande categoria: quella che guardando l’orizzonte non vede l’infinito ma solo un buon inizio.
Terminiamo come abbiamo iniziato: Jack London ci viene ancora una volta in aiuto.
<<Non temete per lui. Senz’altro andrà incontro a rischi e disavventure. Ma ricordatevi che gli incidenti domestici non sono meno numerosi di quelli che si verificano sull’acqua. Uccidono più ragazzini le case surriscaldate che le barche, piccole o grandi che siano. D’altro canto, la navigazione ha contribuito a trasformare molti giovani in adulti solidi e autonomi più di quanto abbiano fatto il cricket o le lezioni di danza. E poi, se sei marinaio per un giorno, resti marinaio tutta la vita. Il sapore del sale non si dimentica più. Un marinaio non è mai troppo vecchio per non cedere alla tentazione di lanciarsi in una nuova avventura tra il vento e le onde…>>
Buon vento, ci vediamo in mare!
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