Litigare in barca: Perché dovrebbe essere impossibile
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Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché.
I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
(Charles Baudelaire)
Il piacere di navigare: mettere la prua fuori dai porti ed inseguire sole, vento e libertà. Tutto molto poetico non è vero?
La navigazione però non è solo questo, specie se questa meravigliosa attività è condivisa con altri navigatori più o meno congiunti, più o meno affini, più o meno affiatati con noi.

Gli spazi stretti si sa, possono favorire tensioni ed in questa situazione gli screzi sono ancora più complicati da gestire e le circostanze ne impediscono molte volte il normale svolgimento ed una rapida risoluzione. Mi riferisco ad esempio a quando ospitiamo persone, situazione nella quale anche un semplice attrito o una opinione discordante devono essere gestiti e rimandati, sopendo momentaneamente la pentola a pressione che alberga dentro di noi, ed esplodendo in un secondo tempo quando magari liberi di interagire senza occhi e orecchie indiscreti, possiamo dare sfogo e compimento al litigio. Il rischio è quello di accendere un fiammifero in una polveriera, situazione molto ma molto dannosa.
La barca si sa, può unire o separare per sempre grandi amicizie e grandi amori, la barca è un momento assoluto, che necessita un approccio che poco ha a che fare con tutto il bagaglio sociale e culturale che – a torto o ragione – farcisce la nostra vita.
Un momento assoluto dunque, il che rappresenta lo stimolo a trasformare quella che a tratti può apparire come una vera e propria prigione, in opportunità di crescita. Il mare, il vento, navigare attraverso gli elementi, sono lati della stessa medaglia ma dal peso specifico notevole, e che si posizionano sul piatto della bilancia, proprio per contrastare e soppesare l’oggetto della discussione. Non possiamo fuggire da noi stessi, e tranne l’improbabile opzione di gettare l’altro fuori bordo, resta la comprensione e la giusta collocazione del problema nella big picture.
Fin qui nulla di nuovo credo, sono situazioni e sentimenti che più o meno abbiamo sperimentato tutti: ognuno di noi si è morso la lingua in più di una occasione, ognuno di noi ha trovato amicizie per la vita o rotto vecchi e consolidati rapporti da terra ferma alla prima occasione di navigazione.
Quello che sfugge, quello che forse è interessante da esplorare è un’altra cosa: se è vero – come è vero – che la vela e la navigazione in generale per noi rappresentano l’essenza del benessere e della serenità dovrebbe essere automaticamente esclusa la possibilità di avere momenti di tensione; chi penserebbe a litigare in paradiso?
Forse qui sta il punto, forse la verità è che, oltre che chili di bagagli inutili, ci portiamo anche qualcos’altro che faremmo bene a lasciare a terra: forse con noi imbarchiamo anche un “altro io” che con il nostro spirito da navigatori non c’entra proprio nulla; pretendiamo di imbarcare quel “io” fatto di abitudini, di stress e di convenzioni urbane che nulla ha del marinaro, in altre parole tendiamo inconsciamente trascinare a bordo tutta la nostra vita da “civili e civilizzati” che sarebbe proprio bene imparassimo a lasciare a terra.
In barca il paradigma cambia, il mare ed i suoi equilibri prendono il sopravvento e noi abbiamo solo la possibilità di ritagliarci una nicchia confortevole e soprattutto sostenibile.
Dobbiamo guardarci intorno e prima di imbarcarci escludere tutti quegli “io” che potranno esserci di peso.
In barca tutto ha un significato particolare, a volte ancestrale, a volte inspiegabile se lo guardiamo con gli occhi del “io terrestre”. Gli equilibri, i riti, l’occhio con cui vediamo con le persone, il modo con cui interagiamo con noi stessi.
Personalmente quando sono in barca faccio mente locale osservando i miei compagni di equipaggio e mi accorgo – per quel che li conosco – che sono persone diverse da quando sono a terra; credo che questa sia una cosa che riguardi tutti i navigatori con un po’ di miglia sulle spalle, e credo proprio che quello che riesco ad osservare sia il liberarsi di quel “io terrestre” da parte di tutti noi; e più passano i giorni più questa liberazione appare più evidente.

Parlavamo di equilibri e persone: innanzitutto gli altri umani imbarcati con noi: il primo punto difficile da accettare è che in barca ci sia un comandante (il termine skipper non è appropriato) che – proviamo a ribaltare la visuale – non è “quello che comanda” ma “quello che si prende le rogne”. Il comandante deve essere riconosciuto come il più esperto ed il più consono a questo ruolo; se non sei d’accordo uno dei due è fuori posto: forse davvero non è il più adatto, e allora meglio che lasci il posto a qualcun altro; o forse sei tu che fatichi ad accettarlo perché, ancora una volta, insieme a te tenti di imbarcare tutto un fardello di atteggiamenti, pregiudizi o dubbi irrisolti che poco hanno a che fare con la navigazione a vela, ed in questo caso sarebbe davvero consigliabile soprassedere all’imbarco, almeno per questa volta.
A sua volta il comandante sarà aperto, sorridente, predisposto al rapporto e farà la sua parte per spiegare e rendere condivise decisioni che spettano a lui ma che debbono essere profondamente comprese ed interiorizzate con convinzione da tutti i presenti a bordo. Il comandante sarà un punto di riferimento, sarà autorevole, non autoritario.
Se le due figure non coincidono, c’è poi l’armatore, che è il proprietario della barca ma non sempre e non per forza è il più esperto (basta guardarsi intorno per verificare). L’armatore intelligente è quello che lascia spazio, che accoglie con garbo e con l’esempio del suo comportamento riesce a fare capire che a bordo il mondo è un altro, è diverso. Riesce a fare capire che sei altrove.
In ordine sparso poi arrivano gli altri, i nostri compagni di crociera o di navigazione, siano essi amici di lunga data o perfetti sconosciuti. Qui davvero veniamo al nodo: il dottore la professoressa, l’avvocato, il presidente, sono tali nell’esercizio delle loro professioni, non in barca; a bordo siamo solo quello che siamo e quello che sappiamo fare; siamo quello che il mare ci richiede, senza orpelli; il resto non va imbarcato. In mare, tolto il comandante e l’armatore non esiste altra gerarchia; esiste solidarietà, empatia e spirito di collaborazione. Non esiste deferenza, il nostro biglietto da visita ed il nostro curriculum vitae lo scriviamo ogni giorno navigando; in mare quello che conta è la nostra attitudine alla navigazione. Null’altro. Punto.

Ed è questa una delle chiavi di volta (e svolta): in barca tutti siamo coinvolti. Siamo coinvolti a vari gradi nella navigazione (c’è il navigatore esperto, il buon velista ed il principiante desideroso di imparare) e tutti, nessuno escluso, siamo coinvolti nella gestione della barca. I turni si rispettano e le corvée si eseguono perché sappiamo che è giusto farlo. In barca non esiste la moglie che lava i piatti al posto del marito <<perché lui a casa è abituato a non fare niente>>, non esiste <<ora prendo, quella cosa la faccio più tardi>>, in barca la cambusa sarà tenuta d’occhio da tutti e i bagni (a meno che non ce ne sia uno per cabina) non saranno monopolizzati dalle creme abbronzanti o dal dopobarba di nessuno. I nostri bagagli non saranno un impedimento al movimento degli altri croceristi e saranno ben confinati all’interno della nostra cabina.
Persino i bambini avranno piccoli compiti che li renderanno responsabili ed attenti, saranno coinvolti nelle manovre della barca, saranno sollecitati a guardarsi intorno ed a immergersi nell’elemento che li ospita.
La barca è equilibrio, e come tutti gli equilibri deve essere raggiunto con il concorso di tutti, ognuno per il peso della sua capacità, senza sconti e senza orpelli.
La vacanza insomma si godrà tutti insieme, con leggerezza, con un sorriso, nel rispetto reciproco, nella tolleranza reciproca e nella reciproca salvaguardia degli spazi personali; lasciando a terra tutti quegli “io superflui” che, a pensarci bene, sono il vero motivo ed il vero fardello per cui desideriamo una vacanza. Ecco, se fosse possibile una definizione di poche parole direi che la navigazione a vela è una buona occasione per prenderci una vacanza da noi stessi, e sarebbe bene che non la sprecassimo.
Buon vento, ci vediamo in mare.
RC
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