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Quando si parla di vele una cosa salta subito all’occhio: la sovrabbondante quantità di dati reperibili ovunque e la contemporanea e apparentemente contraddittoria mancanza d’informazione.

Tra sigle e nomi di materiali più o meno esotici, ciò che regna sovrana è la confusione e non c’è da stupirsi che – nella stragrande maggioranza dei casi – l’argomento finisca poi per animare le chiacchiere da banchina. Finisce così che ognuno dice la sua, spesso con l’unico risultato di aver passato una piacevole serata fra amici e basta.

L’unico dato incontestabile è che non esiste la vela perfetta, né quella adatta a tutti gli usi e a tutte le condizioni. Se poi all’equazione aggiungiamo la variabile del prezzo, allora davvero diventa difficile districarsi tra quello che sembra un ginepraio infinito di possibilità. Sono tantissime le combinazioni di tagli, materiali e finiture.

La prima questione da affrontare e a cui rispondere dopo profonda riflessione è relativa all’uso prioritario che si farà della barca. Da qui è più facile partire per effettuare una scelta informata e consapevole: insomma, i costi e le caratteristiche delle vele devono essere adatti ai nostri programmi.

Se la nostra intenzione è quella di usare la barca principalmente in crociera, le preoccupazioni principali dovrebbero essere quelle relative al costo e alla durata delle vele. In rete sono reperibili decine di articoli da cui, con un po’ di pazienza, ci si può fare una cultura in fatto di tipi di costruzione per le rande e le vele di prua, avvolgibili, steccate.

Il Dacron è il materiale amico dei croceristi, costa poco, dura molto ed è molto resistente sia ai raggi UV sia al maltrattamento. Questi pregi rendono il Dacron materiale adatto anche alle regate d’altura di livello intermedio, dove l’affidabilità di una vela può contare di più della sua performance complessiva.

Il principale ostacolo per l’uso del Dacron in regata è rappresentato dal suo peso: se le dimensioni della barca iniziano ad essere importanti (sui 40’), il peso delle relative vele inizia a farsi sentire, specie in fase di manovra e con equipaggio ridotto. Inoltre, non è facile mantenere una buona performance a lungo, il Dacron si stira nel tempo.

In regate di alto livello, su barche performanti oltre i 40 piedi, il peso diventa un fattore insormontabile e infatti non vedrete mai un IMOCA 60 con rande in Dacron.

L’utilizzo per una regata molto lunga non sarebbe però del tutto sbagliato, anzi, molti problemi di usura sarebbero risolti, ma una randa di quelle dimensioni in Dacron sarebbe troppo faticosa da gestire. E questo è un problema pratico ancor prima che un problema di performance.

Parlando di usura, perdita di forma e performance dovremo fare molta attenzione e concentrarci sul nostro progetto. Dati statistici dicono che un velista medio nord europeo percorra ogni anno circa 2.200 miglia, quello italiano circa 900: sta a noi quindi avere l’accortezza di collocarci nel range giusto.

Se rientriamo tra quelli che utilizzano la barca poche volte all’anno, ogni centesimo che spendiamo per materiali high performance sarebbe sprecato; l’attenzione andrà piuttosto rivolta alla manutenzione, alla protezione dai raggi UV, dalla muffa, o dai danni.

Per esempio, lo sbatacchiare di un genoa mal chiuso sull’avvolgifiocco durante un colpo di vento in marina.

In mezzo ai due estremi ci sono poi numerose possibilità in cui “incastrare” le nostre esigenze.

Ci sono rande in stratificato che possono davvero soddisfare esigenze di alte prestazioni; ancora una volta occorre essere onesti e collocarsi nella giusta prospettiva. Se il nostro progetto contempla solo poche uscite estive e tuttalpiù la partecipazione a qualche regata o campionato zonale, credo che una classica buona randa in Dacron possa essere adeguata, magari sostituita con maggiore frequenza e manutenuta in modo corretto. Non dobbiamo dimenticare che anche nel nostro sport così influenzato dai materiali, alla fine la vera differenza la fa il velista: parecchi armatori hanno la strana abitudine d nascondersi dietro il dito delle vele inadatte per mascherare la loro inadeguatezza in regata.

Da parte mia penso che, quando un equipaggio arriva costantemente secondo dietro alla barca più tecnologica della flotta, inizi ad avere buona ragione di speculare sulla qualità dei suoi materiali; fino a quel momento conviene investire in allenamento e messa a punto. Conviene magari ingaggiare un bravo skipper in regata e, perché no, un coach che segua gli allenamenti.

In sintesi, se per la stagione il budget è basso, per migliorare i risultati conviene non toccare nulla e uscire ad allenarsi: vedrete che le cose inizieranno lentamente a migliorare. Possiamo avere lo spinnaker migliore del mercato, ma, se ci mettiamo 5 minuti ad alzarlo e ammainarlo, la differenza sarà veramente inesistente.

Il vantaggio ulteriore di un programma di allenamento è che avremo modo di conoscere meglio la barca e le sue prestazioni, arrivando al cambio di vela con cognizione di causa e con piena coscienza del risultato da attendersi.

Lo skipper e l’equipaggio, le scelte tattiche e strategiche, l’affiatamento fanno ancora il 95% del risultato. Quando sarete bloccati al top del vostro livello, vi potrete preoccupare di come la tecnologia vi può aiutare a migliorare le prestazioni.

Discorso a parte la navigazione in solitario o in equipaggio ridotto.

Qui la necessità primaria sarà scegliere vele ed accessori che possano rendere la manovra più agevole e leggera. Questo vale sia per il crocerista sia per il regatante.

Un po’ come nell’automobilismo moltissimi sistemi oggi presenti sulle auto di serie derivano dalla ricerca in Formula 1, anche in mare le soluzioni che troviamo oggi per facilitare la vita del crocerista non sono state sviluppate specificamente per questo mercato, ma arrivano dal mondo delle regate oceaniche in equipaggio ridotto.

Le calze per gli spinnaker ad esempio consentono ai solitari di gestire spinnaker di dimensioni incredibili. I frullini sviluppati per gennaker, i lazy jack e lazy bag sono da decenni usati in oceano e sono diventati poi dotazioni comuni fra i croceristi.

Un argomento da tenere sempre ben chiaro è che ogni vela viene disegnata e costruita immaginando le condizioni in cui dovrà essere utilizzata.

Il concetto base è che ogni combinazione tra taglio e materiale è pensata per resistere all’intensità massima in cui è corretto che utilizziate quella vela: se rompiamo una genoa leggero o un Code 0 durante un colpo di vento la colpa è nostra che abbiamo tardato a ridurre vela o a sostituirla con una più adatta al meteo in arrivo.

Spesso quando veniamo sorpresi da un rinforzo del vento, tardiamo per pigrizia a ridurre tela al momento opportuno; da lì a breve causeremo danni che sono esclusivamente dati dal cattivo utilizzo di ciò che abbiamo a disposizione

Per allungare la vita di una vela ed evitare rotture, dobbiamo imparare a minimizzare gli stress dei materiali. I tessuti non si strappano per la sola azione del vento che scorre lungo la vela giusta e regolata correttamente. Questo è ancora più vero per le vele laminate o tecnologicamente avanzate che, se ben sopportano i carichi di lavoro, patiscono tantissimo l’essere maltrattate.

Parliamo ora di vele di prua. Innanzitutto, facciamo un po’ di chiarezza sulla terminologia da utilizzare. In Italia esiste l’equivoco di pensare che lo spinnaker sia quella vela simmetrica che si arma col tangone, mentreIl gennaker sarebbe invece quella vela asimmetrica che si arma su bompresso.

No, rimettiamo le cose a posto: la corretta nomenclatura è invece spinnaker simmetrici ed asimmetrici.

In altre parole, la distinzione tra spinnaker e gennaker non ha nulla a che fare con l’uso del bompresso o del tangone. Non a caso esistono spinnaker simmetrici, che si usano col tangone, e spinnaker asimmetrici che si usano col bompresso. Il gennaker è invece una vela molto più piatta, spesso avvolgibile, pensata per andature di traverso.

Abbiamo stabilito che ci sono gennaker (solo asimmetrici) e spinnaker asimmetrici e simmetrici. Oltre a questi ci sono i Code che per costruzione e caratteristiche sono dei gennaker particolari. 

Il Code 0, ad esempio, divenuto comune solo nell’ultimo decennio, è un gennaker molto piatto che consente di arrivare ad una bolina larga. È una vela studiata per venti leggerissimi ed è molto delicata. Può però essere molto utile quando tentiamo di tutto per dare passo alla barca ed avanzare anche nei refoli.

Facendo riferimento ai codici delle velerie, avremo quindi le Asimmetriche indicate con la lettera A, le Simmetriche indicate con lettera S, i Fiocchi e Genoa indicati con la lettera J e infine i Code.  A queste lettere segue un numero che ne indica, in crescendo, l’utilizzo a seconda dell’intensità del vento. Avremo quindi J1, J2, J3, J4; A2, A4, A6; S2, S4, S6.

Per concludere, quindi, torniamo all’inizio: materiali, tagli e finiture dovranno essere dettati e direttamente derivati dall’approfondita analisi del nostro progetto, con un occhio a soluzioni che facilitino le manovre in equipaggio ridotto.

E per i regatanti la ricetta è sempre la stessa: tanto tanto tanto allenamento ed attenzione alla messa a punto della barca porteranno a molti più risultati che non mettendo mano al portafoglio.

Buon vento,
Renzo Crovo